17 apr 2014

1 - BREVE STORIA DELLA SIEM  di Carlo Delfrati 

                                    Dal sito della SIEM siem-online.it

INTRODUZIONE 

Caro Carlo,
avevo pensato di pubblicare su siem-online una sintetica storia della siem, tra i documenti che presentano l'associazione.
Poi, a dire il vero, mi è venuto in mente che forse non è ancora stata scritta una storia di questa nostra esperienza culturale e associativa; ho pensato anche che ormai nella vita della siem sono coinvolte persone (come me, del resto) che non hanno avuto esperienza diretta dei primi anni.
Mi pare che, invece di un sintetico e freddo "curriculum vitae", potremmo pubblicare una narrazione un po' più vissuta, con un approccio soggettivo, magari senza troppi scrupoli storiografici, ma che faccia capire di quante emozioni, entusiamo, passione sia intessuta la vicenda della nostra associazione.
Chi, se non tu?
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Caro Augusto,
mi chiedi di raccontare i primi anni di vita della SIEM. E’ un’idea che mi lusinga, e ti ringrazio dell’invito. Ma è anche un compito che come puoi immaginare mi suscita non poche ansie: è sempre con un po’ d’emozione che torni col pensiero a quando non avevi i capelli bianchi. E questa è una prima difficoltà. Poi ce n’è una seconda: che faccio fatica a distinguere la storia dell’associazione dalla mia storia personale di quegli anni. Dunque devo chiedere venia in anticipo agli amici, se ce ne saranno, che leggeranno queste righe. Sono solo la bozza di una storia che mi piacerebbe trovare il tempo di sviluppare, ma che se non ci arrivo io, qualcun altro forse sarà interessato a riprendere. In modo più distaccato di quanto io possa fare.
Ho pensato che valga la pena iniziare con un prologo, diciamo a sipario abbassato, quando la SIEM non compare ancora in scena…
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1)PREISTORIA 

 Oggi e ieri

Chi insegna oggi, chi si occupa di didattica musicale, dentro e fuori la SIEM, si trova frastornato da un fiume di iniziative - seminari, convegni, corsi d’aggiornamento -alimentato da enti pubblici e privati, da associazioni, addirittura dalle singole scuole. Ha a disposizione un’estesa biblioteca di ottimi librie riviste di didattica musicale. Può anche confrontarsi e aggiornarsi a distanza, consultando gli innumerevoli siti su internet, o frequentando le liste di discussione.
Niente di tutto ciò esisteva quando la SIEM vedeva la luce, nel 1969. E’ difficile per chi opera oggi rendersi conto di qual era allora la situazione. Può servire a spiegarla una rapida carrellata sui precedenti. Il primo trentennio del secolo era stato un periodo ricco di idee vivaci e di azioni istituzionali, che aveva visto la musica acquistare cittadinanza presso pedagogisti e responsabili della scuola: bastino i nomi della Montessori, delle sorelle Agazzi, di Lombardo-Radice; o di quel Jaques-Dalcroze di cui cominciavano a diffondersi anche da noi le linee metodologiche. Ma anche ai livelli avanzati la didattica faceva un salto di qualità, di cui è testimonianza per esempio il Convegno dei musicisti italiani che si tenne nel 1921 a Torino.
Poi, negli anni Trenta,l’educazione musicale sprofonda in un tunnel tenebroso, lungo altri trent’anni: la letteratura didattica si fa esangue, le proposte innovative o mancano o, quando qualcuno le avanza, vengono neutralizzate dentro l’inerzia generale. Ho avuto modo di raccontare queste cose in lavori che ho pubblicato anni fa: dove avanzavo l’ipotesi che la causa prima di tanto riflusso andasse cercata al vertice, nei quadri dirigenti della vita italiana, la vita politica naturalmente, ma anche la vita musicale: ossia, per quel che riguarda la scuola, nei Conservatori. La palude metodologica in cui si era impaniato l’insegnamento superiore finiva inesorabilmente col penalizzare quel che succedeva quotidianamente all’estremo opposto, nella scuola di base. La situazione era aggravata non tanto dalla guerra, ma semmai dal fatto che nel dopoguerra venivano chiamati, a dirigere i massimi istituti musicali italiani, i rappresentanti della più retriva conservazione prebellica.

2. L’uscita dal tunnel

Le cose cominciano a rimettersi in moto all’inizio degli anni Sessanta, quando del fervore creativo di un tempo s’è però ormai persa traccia. Sta lentamente maturando allora nella politica scolastica italiana il progetto di una scuola media che unificasse i diversi indirizzi esistenti fin allora: e la musica era presente in uno solo di questi indirizzi, con un’ora la settimana, e con i suoi insegnanti collocati in una fascia resa marginale anche da un trattamento economico inferiore a quello dei loro colleghi delle altre discipline.
Nel 1962 la nuova scuola prende vita. La musica riescea farsi ammettere con un’ora settimanale obbligatoria in prima, facoltativa in seconda e terza. E’ una grande conquista: per la prima volta nella nostra storia tutti i cittadini italiani incontrano a scuola la musica, anche se magari per un solo anno. Il merito va dato in gran parte all’azione di un gruppo di musicisti e pedagogisti sensibili, fra i quali emerge Giorgio Colarizi, direttore del Centro Didattico Nazionale per l’Istruzione Artistica,da poco costituito. Nel 1963 Colarizi fonda con Riccardo Allorto la rivista Educazione Musicale, che ridà avvio a un dibattito, sia pure ingenuo se letto con gli occhi di oggi, intorno a varie problematiche dell’educazione musicale.

3. Un pivello in trincea

Allargata la presenza della musica nella scuola media,si cercano nuovi insegnanti, e io mi trovo ad essere uno di quelli. Mi basta un anno o due di contatto coi ragazzi per rendermi conto di quanto poco mi servissero gli studi di Conservatorio; per non dire delle loro estreme propaggini, i libri di testo allora disponibili. Dove cercare idee utili? A chi può chiederle, un giovane alle prime armi, che non conosce nessuno, in una comunità del tutto priva di centri o associazioni che possano offrire luoghi d’incontro e di confronto? Per di più mi capita una di quelle occasioni che imprimono una svolta al tuo trantran quotidiano: la neonata rivista La Scuola Media dei Fratelli Fabbri Editori è alla ricerca di chi gli riempia la rubrica “Educazione Musicale”: un articolo di didattica ogni quindici giorni! Ho l’impudenza di farmi avanti. Mi provano, mi affidano l’incarico.
Cosa può mai raccontare ai suoi colleghi più anziani un pivello appena arrivato a insegnare? Arrivato come tutti: con un bel corso di Conservatorio alle spalle che ti ha insegnato tante cose carine ma, ripeto, quasi niente di riutilizzabile a scuola. Quella collaborazione mi costringe a pensare seriamente alla didattica. Comincio a guardarmi intorno. Qualcuno ha riflettuto sulla didattica musicale? Ha scritto qualcosa d’interessante…? Da neo-padre conoscevo le cose della Montessori: buone per la prima infanzia, eccellenti per certe intuizioni di fondo, ma insomma troppo poco per l’arduo compito. Mi trasformo in talpa, talpa di biblioteca.I sotterranei della ben fornita biblioteca dell’Università Cattolica di Milano, che allora frequentavo, diventano la mia seconda casa. Libri di didattica musicale non ne trovo (tra le rare eccezioni voglio ricordare un libriccino che allora mi apparve stimolante: Il fanciullo e la musica, di Antonio Mura, uscito nel 1957). Annata dopo annata conduco uno spoglio sistematico delle riviste italiane di pedagogia e di psicologia, per il ventennio 1945-1965. Schedo tutto quello che trovo sulla musica. E per la miseria qualcosa arrivo pure a trovare, a cominciare da quel Costanzo Capirci che scrive sul bimestrale per ciechi Luce con Luce. C’è anche una rivista disposta a pubblicare i risultati di quei viaggi speleologici: Cultura e Scuola, il trimestrale dell’Istituto Treccani, che li fa uscire a puntate, nei numeri 23, 24, 25, fra il luglio 1967 e il marzo 1968.

4. La scoperta della Valle Incantata

Non mi basta ancora. Butto gli occhi al di là delle Alpi, e qui mi trovo a strabiliare come il piccolo dinosauro del cartone Alla ricerca della valle incantata. Scopro nei paesi di lingua inglese un fervore, un turbinare d’idee, di progetti, di realizzazioni per me allora sconvolgente. Mi faccio prendere da un entusiasmo frenetico.Niente vacanze quest’anno, dico ai miei bambini, a Milano si sta così bene d’estate: il salvadanaio per il mare serve a finanziare la cassa di libri stranieri e l’abbonamento alle venti e passa riviste di didattica musicale in cui rischio di affogare nel 1967. Tra queste eccone alcune che mi colpiscono più delle altre: sono l’organo ufficiale di altrettante associazioni didattiche. Associazioni? Stupendo! Dietro le riviste affiorano dunque territori dove anche un insegnante di musica è invitato a mettere in comune e confrontare le esperienze: posso conoscere quello che fanno e pensano i colleghi, discutere con loro le mie buone e cattive azioni scolastiche, le idee che mi sembra di maturare, le letture che divoro,i molti dubbi che sorgono quotidianamente…
Dov’è possibile tutto ciò nel nostro paese, negli anni Sessanta? Da nessuna parte. Nemmeno delle cose che scrivo su La Scuola Media ho allora il minimo riscontro. Non conosco nessun collega… Fra tutte le associazioni una attira una speciale attenzione: l’International Society for Music Education (ISME). Ecco: se esiste un’ISME, perché non sostituire “Italiana” a “Internazionale”, e rimettere in ordine le lettere? La SIEM nasce così, come una semplice sigla scritta su una bella cartellina colorata posata sulla scrivania della mia casa, Corso Vercelli 38, Milano. Una cartellina vuota. Tutta da riempire. Come? Come fai a mettere in piedi un’associazione quando non conosci nessuno, e nessuno conosce te?
........alla prossima


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